Onorevoli Colleghi! - La violenza contro le donne è un fenomeno che ha assunto negli ultimi decenni una visibilità crescente, suscitando una progressiva attenzione fino a diventare una priorità di azione sia a livello internazionale che nell'ambito dei governi locali.
      La violenza verso le donne riguarda una duplice dimensione: la prima, che attiene alle relazioni tra i sessi, la seconda, che attiene al piano sociale su cui queste si strutturano. Occorre prioritariamente concentrarsi su iniziative a livello operativo (assistenza, soccorso, asilo) e, più in generale, sui «programmi di collaborazione e formazione da parte delle pubbliche autorità volte a promuovere l'assistenza più specifica, la prevenzione della violenza sulle donne», coinvolgendo gli organi della sanità, della giustizia, delle Forze di polizia (giudiziaria) e i servizi sociali. A tale fine, la presente proposta di legge mira a un potenziamento complessivo della lotta contro la violenza sessuale, mediante l'introduzione di più efficaci misure, tra cui, appunto, il potenziamento delle unità specializzate di polizia giudiziaria presso le questure, affinché il personale sia dotato di appropriata formazione e numericamente adeguato all'ambito territoriale in cui opera. Preliminarmente, occorre apportare una modifica all'articolo 609-bis del codice penale, concernente il reato di violenza sessuale. Appare utile superare l'attuale formulazione che richiede il requisito della «costrizione» della vittima ai fini dell'imputazione, in favore di quella basata sulla «mera mancanza di consenso» all'atto sessuale, onde tutelare pienamente il diritto di libertà sessuale. La disposizione vigente richiede, infatti, una condotta coartativa

 

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della volontà della vittima, attuata attraverso «violenza o minaccia o mediante abuso di autorità» al compimento dell'atto: si richiede una sorta di «onere di resistenza» in capo alla vittima come presupposto dell'accesso alla tutela penale. Spesso, però, l'aggredito è una persona che non reagisce, ad esempio perché terrorizzata, oppure perché ritiene così di evitare un male ancora peggiore, oppure in quanto la violenza è perpetrata in ambito familiare. La modifica proposta - di introduzione della mera mancanza di consenso ai fini dell'imputazione del reato - vuole rispondere a nuove esigenze di tutela, con una più adeguata determinatezza della fattispecie penale. Occorre anche introdurre tra le circostanze aggravanti dei reati di violenza sessuale - tassativamente indicate all'articolo 609-ter del codice penale - quella del fatto commesso su persona in stato di gravidanza. Tale previsione aggiuntiva, tra l'altro prevista in alcune legislazioni europee, tra cui quella francese, mira a sopperire a una grave dimenticanza del legislatore del 1996. La legge n. 66 del 1996, recante «Norme contro la violenza sessuale», oltre a introdurre i predetti articoli 609-bis e 609-ter del codice penale, nonché altri articoli del medesimo codice, ha, peraltro, costituito una grande conquista di civiltà per il nostro Paese permettendo di far emergere questo fenomeno, in quanto la sessualità è uno dei veicoli attraverso i quali si esprime la personalità umana e una modalità di comunicazione interpersonale. Inoltre, ha incoraggiato la denuncia da parte delle donne, ha reso possibile il diffondersi di centri e di case antiviolenza su gran parte del territorio nazionale, gestiti da associazioni di donne che svolgono un'importante funzione di accoglienza, soccorso e assistenza delle vittime, anche durante i processi. Misure che vanno intensificate e, così come prevede la presente proposta di legge, intensificate. Infatti, continuano ad allarmare gli episodi di cronaca che evidenziano come la violenza sessuale sia sempre più diffusa, anche nelle odiose ed efferate forme del «branco». I reati sessuali costituiscono un problema molto serio nelle società occidentali, mentre vi sono difficoltà nello stimare la diffusione degli abusi sessuali: è infatti dimostrato quanto sia grave l'incidenza di queste aggressioni sull'intera vita delle vittime e delle loro famiglie. Allarmanti sono i dati del rapporto dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) del febbraio 2007 sull'indagine dedicata al fenomeno della violenza fisica e sessuale contro le donne, iniziata nel 1998 su mandato del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri e finanziata con i fondi del programma operativo nazionale «sicurezza» e «azioni di sistema» del Fondo sociale europeo: sono stimate in 6.743.000 le donne dai 16 ai 70 anni di età vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita e nella quasi totalità dei casi le violenze non sono state denunciate. Il sommerso è elevatissimo: raggiunge il 96 per cento delle violenze commesse da un non partner e il 93 per cento di quelle commesse dal partner. È consistente la quota percentuale di donne che non parla ad alcuno delle violenze subite (33,9 per cento per quelle subite dal partner e 24 per cento per quelle subite da non partner), per non parlare, oltre che dello stupro, che rappresenta il 69,7 per cento della percentuale delle violenze, della violenza morale e psicologica, subita da oltre 7 milioni di donne. Molte delle vittime, inoltre, hanno subìto violenza reiterata, che avviene più frequentemente da parte del partner che del non partner (il 67,1 per cento nel primo caso contro il 52 per cento nel secondo caso). L'ISTAT afferma che «il rischio di subire uno stupro è tanto più elevato quanto più stretta è la relazione tra autore e vittima».
      L'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e l'Unione europea definiscono la violenza alle donne nell'accezione di «violenza di genere», cioè una violenza che si annida nello squilibrio relazionale tra i sessi e nel desiderio di possesso e di controllo da parte del genere maschile su quello femminile. Questa violenza si coniuga in: violenza fisica, sessuale, economica (coartazione psicologica circa i mezzi di sussistenza per la donna o per la prole,
 

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l'assegno di mantenimento eccetera) e psicologica (violazione del sé). Già con il Progetto «Arianna», istituito presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri su iniziativa del Governo Berlusconi, l'8 marzo 2006 è stato attivato il numero verde di pubblica utilità 1522 «Antiviolenza donna» di prima accoglienza e di supporto, che risponde su tutto il territorio nazionale alla richiesta di aiuto delle donne vittime della violenza. Il numero verde rientra tra le tante azioni di un vasto progetto promosso al fine di contrastare la violenza non solo extrafamiliare ma anche in famiglia.
      La presente proposta di legge prevede, al fine di consentire una maggiore efficacia delle azioni di contrasto dei reati in ambito familiare e di violenza sessuale, l'istituzione di nuclei specializzati presso gli ospedali dotati di pronto soccorso, predisposti per le vittime di violenza sessuale, in funzione ventiquattro ore al giorno, con personale preparato sul piano medico-legale e psicologico. Il nucleo specializzato è formato almeno da uno psicologo e da un ginecologo. Esso accoglie la vittima, l'aiuta a superare lo choc e ad affrontare la procedura necessaria per le indagini (visita ginecologica o accertamenti medici, visita medico-legale, raccolta e adeguata conservazione dei reperti), in modo da consentire la denuncia della violenza entro i sei mesi successivi, e ogni altra attività utile. Tali nuclei sono presenti da tempo in Francia, in Germania e negli Stati Uniti d'America; in Italia ve n'è uno presso la clinica Mangiagalli di Milano, che opera quale servizio sostenuto dalla sanità pubblica. L'elenco di tali nuclei specializzati sarà disponibile presso i commissariati e i posti di polizia, nonché presso i comandi dei carabinieri. È importante che i delitti di violenza sessuale non vengano più inquadrati come delitti contro la moralità pubblica, ma come delitti contro la persona, contro le donne! Viene ridefinito il concetto di violenza sessuale e dei relativi delitti, già riformati dalla citata legge 15 febbraio 1996, n. 66, recante «Norme contro la violenza sessuale», che, apportando un importante mutamento di natura sistematica, ha collocato simili infamanti delitti tra quelli contro la libertà personale, dimostrando un diverso apprezzamento della violenza alle donne, sintomo anche del mutamento della sensibilità sociale e culturale del Paese.
      Occorre inoltre affrontare anche i delicati temi della violenza in famiglia o della violenza facilitata da relazioni di tipo affettivo o familiare (riconoscendo eguali diritti ai conviventi more uxorio della persona offesa). L'approccio integrato non deve riguardare solo i soggetti proponenti, ma anche gli interventi disciplinati, che vanno dalle misure di sensibilizzazione e di prevenzione, alle modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e del codice civile, al fine di assicurare riconoscimento e tutela, sostanziale e processuale, alle vittime di delitti accomunati dalla caratteristica dello squilibrio di forza tra l'aggressore e la parte offesa. Alla fine del mese di ottobre 2007, nel «pacchetto sicurezza» varato dal Consiglio dei ministri sono state previste anche la concessione alle donne extracomunitarie vittime di violenze del permesso di soggiorno e una maggiore tutela alle vittime di maltrattamenti in famiglia, con un'aggravante specifica se si commette reato a danno di minori di 14 anni. Tali delitti contro le donne devono essere severamente puniti visti anche i tragici fatti di cronaca, in quanto le violenze subite incidono anche sull'integrità psicologica della vittima, rischiando di provocare un serio danno permanente alla sua vita di donna. Ben vengano anche l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente e i relativi ordini di protezione a favore delle donne malmenate e maltrattate dai mariti o dai compagni, nonché altri provvedimenti contro gli abusi familiari a tutela dell'incolumità, della libertà e dell'integrità fisica o morale della coniuge o della convivente. Già con la legge 4 aprile 2001, n. 154, recante «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari», sono stati introdotti nel nostro ordinamento civile e penale strumenti innovativi, di cui va incentivato
 

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un più stringente utilizzo, volti a contrastare il problema della violenza familiare e a garantire una rapida tutela, pur se temporanea, per chi subisce violenza all'interno delle mura domestiche: l'autore della violenza deve allontanarsi dal domicilio familiare evitando così che debba essere la vittima a doversi rifugiare in un luogo sicuro e protetto per sottrarsi alle condotte violente del marito o del partner e per salvaguardare se stessa e i propri figli. La misura penale dell'allontanamento dalla casa familiare (articolo 282-bis del codice di procedura penale) con provvedimento giudiziale, ovvero di non farvi rientro e di non accedervi senza alcuna autorizzazione del giudice che procede (autorizzazione che può prescrivere determinate modalità di visita), può fungere come incentivo a rompere il muro di omertà che spinge le donne a tacere i delitti patiti, condizionate dai legami affettivi al proprio uomo nella vana speranza che abbandoni l'atteggiamento persecutorio e violento per mantenere la famiglia unita e, soprattutto, condizionate dalla consapevolezza che, in caso di allontanamento o di «fuga», verrebbero a cessare i mezzi di sostentamento quotidiano. All'interno di queste disposizioni il giudice penale può, poi, impartire anche specifiche prescrizioni «qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti», come ad esempio il divieto (secondo comma del citato articolo 282-bis) di avvicinarsi da parte dell'imputato (coniuge o partner) a luoghi determinati ovvero a luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa e, in particolare, il luogo di lavoro e il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In questo caso, per le donne maltrattate che convivono con situazioni di abusi e di violenze fisiche e morali, occorre prevedere l'intervento dei servizi sociali nel territorio e per il sostegno psico-fisico e finanche per il ricovero e per l'asilo. Importante, per i motivi già rilevati, anche l'obbligo di stabilire a carico della persona allontanata dalla casa familiare con provvedimento giudiziale di versare un assegno a favore della persona convivente vittima e anche dei figli, che a seguito dell'allontanamento coattivo, per le predette ragioni, rimangano privi dei mezzi di sussistenza adeguati. Peraltro, la recente normativa proposta dal Governo in materia di molestie sessuali (atto Camera n. 2169), che mira a introdurre il reato di atti persecutori - molestie assillanti reiterate tali da indurre fondato timore per l'incolumità propria e sofferenza psichica nonché da arrecare apprezzabile pregiudizio alle abitudini di vita - istituzionalizza tale divieto di avvicinamento dell'imputato ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, ovvero di mantenere una distanza determinata da tali luoghi o dalla persona offesa, divieto estensibile anche ai prossimi congiunti della vittima sino ad impedire anche la comunicazione telefonica, telematica o con qualsiasi altro mezzo. Per maggior protezione della vittima, fino alla proposizione della querela per tale reato, la persona offesa può presentare al questore la richiesta di un provvedimento di avviso orale di cui all'articolo 4 della legge n. 1423 del 1956. Sotto il profilo civile, l'articolo 2 della citata legge n. 154 del 2001, ha previsto l'ordine di protezione contro gli abusi familiari (articoli 342-bis e 342-ter del codice civile) nei casi in cui la condotta del coniuge o del convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente. Correlatamente, nel codice di rito è stato previsto che l'istanza di allontanamento si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. Per cui, ai sensi dell'articolo 736-bis del codice di procedura civile, possono essere impartiti ordini di protezione a favore delle donne e di eventuali figli, fra cui quello dell'allontanamento dalla casa familiare nei casi e nelle modalità previsti per l'azione penale, l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare o di altre associazioni che abbiano come forma statutaria il sostegno e l'accoglienza
 

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dei soggetti vittime di abusi e di maltrattamenti nonché l'obbligo della persona allontanata di versare un assegno periodico a favore delle persone conviventi che a seguito dell'allontanamento rimangano prive di mezzi adeguati di sussistenza, disponendo appropriate indagini sui redditi anche da parte della polizia tributaria. Nel quadro della riforma in esame, la legge n. 154 del 2001 potrebbe essere utilizzata da centri appositi non governativi, dotati di uffici legali, e applicata da giudici civili, con decreto motivato immediatamente esecutivo, e da giudici penali con positivi riscontri di tutela dei soggetti maltrattati.
      La violenza si annida dappertutto, ma in particolar modo colpisce le donne appartenenti a ceti e ubicazioni territoriali particolarmente sfortunati, con retaggi ancestrali di predominio maschile e di sottomissione, donne che consumano in silenzio la loro sfortunata vita, che condividono con i propri figli, altre «vittime innocenti» segnati anch'essi, direttamente o di riflesso, dal triste destino. Ma occorre anche pensare all'assai frequente fenomeno sociale delle cosiddette «famiglie allargate». L'impianto di riforma sui reati di violenza sessuale deve tenere conto della differenziazione giuridica tra la materia della violenza propriamente detta e i maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, previsti dall'articolo 572 del codice penale, che possono generare anche lesioni personali gravi. Mentre la prima ha sfondo sessuale, i maltrattamenti, perpetrati anche contro i figli, rivestono un'accezione più vasta e devono essere anch'essi severamente perseguiti. Occorre intervenire per la sostituzione di tale articolo del codice penale, prevedendo oltre i maltrattamenti a danno delle persone della famiglia, compresi i fanciulli, anche quelli contro persone conviventi o sottoposte ad autorità o ad affidamento (per ragioni di cura, istruzione eccetera). Occorre, perciò, stabilire sia l'allargamento della rubricazione del delitto, prevedendo anche i «maltrattamenti contro i familiari e i conviventi», sia l'inasprimento delle pene per i maltrattamenti per le fattispecie base e per le ipotesi aggravate, comprendenti lesioni personali gravi e anche la morte. Già diversi disegni di legge d'iniziativa governativa hanno ricompreso tale reato tra quelli di grave allarme e pericolosità sociale, cui si accompagna, tra l'altro, una rivisitazione delle misure cautelari e custodiali in carcere in senso più rigoroso, con riferimento ai delitti a sfondo sessuale e contro i minori. Si evidenzia che i maltrattamenti vanno oltre le percosse e le lesioni fisiche (basti pensare al fenomeno del «mobbing familiare» con gravi alterazioni della psiche della donna e del bambino), anche perché si è consolidata un'ampia giurisprudenza in tale senso nell'ambito del diritto di famiglia. Inoltre, la commissione del reato ai danni di persona minore di anni 14, legata all'autore del reato dalle relazioni elencate nel corpo della norma, viene a costituire un'ipotesi di aggravante del reato medesimo. È significativo che la Suprema Corte sia in linea con l'evoluzione dei costumi e della società di oggi: la famiglia, infatti, è da intendere come un consorzio di persone legate da vincoli di solidarietà, fondati su un legame affettivo, per cui rimane irrilevante, per la configurazione del reato di maltrattamenti, la natura giuridica o meno del legame. Occorre difendere anche la donna convivente e i figli e, comunque, i bambini e le persone facenti parte della convivenza nel nucleo. Prima dell'entrata in vigore della citata legge n. 154 del 2001, in ambito penale l'esigenza di tutela poteva essere garantita solo dall'applicazione di alcune misure cautelari come il divieto o l'obbligo di dimora (articolo 283 del codice di procedura penale) o la custodia cautelare in carcere (articolo 285 del codice di procedura penale), mentre in sede civile l'unico percorso per ottenere l'allontanamento del coniuge violento era quello della separazione.
      Ma in tale caso l'adozione da parte del giudice civile di provvedimenti provvisori e urgenti (fra cui l'assegnazione della casa e l'eventuale mantenimento dei figli) prevedeva tempi spesso troppo lunghi. Altro vulnus era dato dal fatto che rimanevano escluse dall'applicazione di tali provvedimenti
 

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tutte le coppie di fatto. In questo quadro normativo occorre inserire previsioni sotto il profilo anche dell'assistenza medica e riabilitativa (disturbo post-traumatico da stress) e dei già menzionati nuclei specializzati presso gli ospedali dotati di pronto soccorso, addestrati per i casi di violenza sessuale, nonché di corsi di formazione e di aggiornamento professionali in materia, oltre che di violenza e di abusi, anche di maltrattamenti in famiglia, con particolare riferimento alla polizia giudiziaria e alle Forze dell'ordine. La presente proposta di legge mira, quindi, anche alla formazione obbligatoria e continua delle Forze dell'ordine e degli operatori del pronto soccorso, che per primi si trovano di fronte a casi di violenza. Oltre a ciò la presente proposta di legge si prefigge l'obiettivo di istituire su tutto il territorio nazionale case-rifugio, denominate «istituti SOS», come servizi dedicati specificatamente alla prima emergenza, che offrono asilo alla vittima che non può usufruirne nei centri antiviolenza, sprovvisti di posti-letto, provvedendo all'intervento precoce, all'asilo e all'accompagnamento nel percorso di reintegrazione personale e sociale, in favore delle persone che subiscono violenza nei rapporti familiari, affettivi e interpersonali nella vita privata come nella sfera pubblica. In tale contesto è prevista l'istituzione di un Comitato nazionale, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'ambito delle strutture di competenza, che valuti periodicamente tali case-rifugio in base alla qualità e all'efficacia dei servizi prestati e delle attività di contrasto delle fenomenologie di violenza in relazione alle finalità di sensibilizzazione, prevenzione e reintegrazione previste dalla legge. Le donne che hanno paura di uscire allo scoperto devono sapere che saranno tutelate da leggi che non promuovono solo osservatori e uffici ma che garantiscono un'opportunità alla loro «rinascita».
      Occorre, infine, anche agire, oltre che sulla prevenzione, sul soccorso e sul sostegno, sul fronte psico-didattico prevedendo programmi di educazione civica nelle scuole per educare le giovani menti a un più sano sviluppo della personalità e della relazionabilità con l'altro sesso. Amnesty International ha lanciato la campagna «mai più violenza sulle donne», sotto il profilo della sicurezza, chiedendo la formulazione e l'applicazione di leggi che proteggano le donne, il finanziamento di iniziative e provvedimenti che in concreto siano volti a garantire che tutte le donne possano vivere libere, protette da programmi di prevenzione, assistenza, formazione ed educazione contro gli stupri e contro tutte le forme di violenza perpetrata anche in Paesi evoluti e civili, come il nostro. Oltre 14 milioni di donne italiane sono state oggetto di violenza fisica, sessuale e psicologica nella loro vita, con l'aggravante che oltre il 94 per cento di queste violenze non è mai stato denunciato.
      La presente proposta di legge vuole realizzare un potenziamento complessivo della lotta contro la violenza sessuale, visto che la normativa vigente è ancora inadeguata per risolvere e per arginare la crescita del fenomeno, per proteggere le donne e gli eventuali figli dalle insidie e dalle violenze quotidiane, anche domestiche. Occorre proteggere anche i minori affidati alla cura della vittima per evitare che essi subiscano in seconda battuta gli effetti del comportamento delittuoso già patito dalla madre. Occorre un segnale concreto, bisogna agire rapidamente, anche accelerando l'iter dell'esame dei diversi progetti di legge e del citato disegno di legge governativo riguardanti i reati in materia sessuale, all'esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati dal mese di ottobre 2007, quando da essi fu effettuato lo stralcio; pertanto, con la presente proposta di legge, si compie un'azione concreta, promovendo adeguate misure contro la violenza sessuale e i maltrattamenti in famiglia.
      La presente proposta di legge è composta da nove articoli.
 

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